
La rivoluzione era già in atto. La pandemia ha solo impresso un’accelerazione al tema della moda green, intesa come una vera e propria tendenza verso una transazione ecologica del settore fashion, che aveva già visto i maggiori brand impegnarsi nell’adozione di politiche di produzione più eco-friendly, in linea con un consumer sentiment sempre più orientato ad una maggior sostenibilità e trasparenza nella causa ambientale.
Per rimanere competitive le aziende del settore si erano già impegnate da tempo a riconvertire i loro modelli di business fornendo, al contempo, informazioni dettagliate sulla tracciabilità dei prodotti e sul loro modus operandi. L’orientamento a mostrare le origini dei materiali ed una specchiata filiera produttiva costituivano indicatori di distinzione già prima della svolta imposta dalla pandemia. L’utilizzo di app ed etichette parlanti, diventate veri e propri strumenti di marketing, ci avevano già abituato ad individuare informazioni ed indicazioni sui valori etici dei vari brand, diventando elementi distintivi per una scelta responsabile e consapevole di consumo. Green carpet che si prendevano la scena già dallo scorso settembre, quando in occasione della settimana della moda si tenne la terza edizione del Green Fashion Awards, erano tutti elementi indicativi di uno scenario preesistente che, nel caso specifico della moda, esprimevano l’esigenza di cambiamento e di una nuova sensibilità per le conseguenze del climate change ben prima che il Covid-19 imponesse una svolta definitiva nell’abbandono di sprechi, consumismo ed eccessi.

La mostra Fashioned From Nature, presentata lo scorso aprile e fino al 27 gennaio del 2019 al Victoria & Albert Museum di Londra, era proprio incentrata sul rapporto tra la moda e la natura vista come musa ispiratrice e grande fornitrice di materiali. Il percorso si snodava attraverso 400 annidi storia della moda e attraverso abiti e accessori forniva una carrellata a partire da tessuti ricamati con veri fiori e ortaggi ed altri esempi di fibre naturali che dal XVII secolo sono giunte ai gironi nostri per approdare all’introduzione di nuove lavorazioni, metodi di coloratura e all’ invenzione delle fibre sintetiche.
Affrontare costi enormi (anche in termini di impatto ambientale), per realizzare quattro volte l’anno eventi che durano solo pochi minuti e impongono spostamenti da un capo all’altro del mondo quando ci siamo abituati alla fruizione virtuale delle sfilate trasmesse in streaming, sembra una scelta senza ritorno. Tanto più che start-up come Bsamply con la creazione del Tradeshow Project ha realizzato la prima manifestazione fieristica digitale, simulando i processi di un incontro fisico fra buyer e supplier, garantendo l’interazione in tempo reale, come in una fiera vera e propria.
Ma il settore può davvero fare a meno del fascino e dell’aura di esclusività degli eventi della fashion week e dei defilé, ed accettare come definitiva la conversione sotto forma di film e video creativi per presentare le collezioni delle varie maison di Alta Moda?
Su questo punto Giorgio Armani sembra avere le idee molto chiare, e dopo aver espresso con fermezza l’esigenza di “rallentare e riallinearsi”, affermando che “la moda non è un circo dove si cercano costose location per spettacolarizzare gli eventi, dando meno importanza agli abiti ed al reale bisogno e aspettative dei consumatori”, ha espresso il suo diniego alla prima e prima edizione digitale della Paris Couture Week in programma dal 6 all’8 luglio, rendendo anche nota la sua decisione di riportare la collezione all’Armani Privè a Milano.

L’opportunità di sfruttare positivamente gli effetti di questa terribile crisi si concretizzeranno nella capacità di ridare valore all’autenticità, nella necessità di ritmi meno serrati affinché le collezioni permangano per più tempo all’interno dei negozi e siano meno assoggettate all’egemonia della moda, intesa come sfrenata ricerca del nuovo, e più in linea con il concetto di un abito di qualità, con una storia che lo valorizzerà nel tempo. Dopo questa forzata pausa domestica, che ha per lungo tempo alterato i ritmi della nostra quotidianità, la tendenza che probabilmente emergerà nell’immediato sarà quella di comprare in modo più consapevole, orientando i propri acquisiti verso capi più sobri e minimal.
La copertina completamente bianca di Vogue dello scorso aprile esprimeva proprio la necessità di scrivere un nuovo capitolo nella storia della moda e del suo ruolo fondamentale nel captare le istanze emergenti della società, di essere, in definitiva, la vera cartina tornasole dei mutamenti sociali in atto e di trasferirli in indicazioni di stile.
Il problema della compatibilità tra l’etica, legata all’attenzione all’ambiente, e l’estetica che da sempre il mondo della moda esprime, sarà cruciale nei prossimi anni ed il settore è chiamato a ripensare le proprie dinamiche in termini più sostenibili “because there is no planet B”, come affermato dal marchio Ecolaf, con le sue innovative creazioni di eco-à-porter.